Mentre gli attivisti si performano in gesti eclatanti nei musei e nelle piazze d’Europa, per le pagine di cronaca e gli spazi dei talk televisivi, ecco una mostra che ne incontra le cause proprio in Svezia, dove le trecce delle bambine hanno iniziato a farsi sentire.
Oltre gli schieramenti del dibattito e i curanti o no del tema ambientale The Arctic – While the ice is melting (L’Artico - mentre il ghiaccio si sta sciogliendo) è una mostra coinvolgente ed entusiasmante, non solo per l’interesse generato dalla diffusione globale delle questioni climatiche, ma anche per un modo originale e autentico di esprimere la cultura di un’area geografica oltre i confini nazionali e legali ma dal punto di vista della sopravvivenza in una zona che ha sempre imposto precise e quanto mai inevitabili regole. Per uno sguardo su tali condizioni, oggi in veloce cambiamento come molte cose della nostra vita, per tutto il 2023 è visitabile questa interessante analisi presso il Nordiska Museet sull’isola di Djurgården a Stoccolma.
Quando si arriva in Svezia la luce provoca fin da subito particolari emozioni sui ricordi di altre latitudini e il romantico momento speciale del tramonto, quell’attimo fugace che sollecita alla contemplazione di un perdersi aldilà, si amplifica e prolunga a tutte le ore del giorno senza mai seguire un sole alto, così a mezzodì d’inizio anno i toni sono già caldi e le ombre lunghissime che l’impressione che le immagini possano rapidamente trasformarsi resta un’illusione di qualche tempo. Più veloce e improvviso è qualche riflesso che dal mare irrompe su tutto il paesaggio insulare dove “la natura può allestire spettacoli straordinari. Il palcoscenico è immenso, le luci strabilianti, le comparse infinite e il budget per gli effetti speciali illimitato” (Yann Martel).
Il protagonista della mostra è proprio il ghiaccio nella relazione con la quale gli abitanti dell’Artico vi hanno vissuto, con i modi di ieri e quelli di oggi, portando i temi d’attualità ad essere trattati con una approfondita ricerca antropologica nel contesto settentrionale, attraverso contributi interdisciplinari e multidisciplinari tra scienza e mitologia, risultato di studi condotti per tre anni e pubblicati da Umeå University & The Royal Skyttean Society nella rivista accademica Journal of Northern Studies, e, con la supervisione del professore dell’Università di Stoccolma Lotten Gustafsson Reinius, anche in un’antologia multidisciplinare intitolata Arctic Traces: Nature and Culture in Motion pubblicata da Nordiska Museet.
Le analisi scientifiche si distribuiscono lungo un percorso immersivo e zuccheroso diviso in 11 tappe di approfondimento tanto documentativo quanto sensoriale, espresso da oggetti d’uso quotidiano esposti in luminosi e minimali elementi di design, scenografie, video, proiezioni e suggestive mappature. Dallo scalone monumentale si arriva al centro della Sala Grande del museo e da una parte, sopra la zona del ristorante, sei campate della volta alta 20 metri sono rivestite dalla proiezione di immagini del regista svedese Jesper Wachtmeister che inserisce un cielo artico e un paesaggio freddo e diurno tra i fori circolari dei lucernari, buchi neri come soli eclissati in controluce. Viceversa, dall’altro lato della Sala, i faretti sono orientati ad illuminare di un notturno blu l’istallazione di un grande iceberg stereometrico alto fino alla balaustra del primo piano, a cui si accede per una visione dall’alto della spaccatura del blocco. Una ferita crudele e seducente, quasi evocativa il punteruolo nella mano di Sharon Stone in Basic Instinct, è qualcosa che allo stesso tempo ci spaventa e attira dentro al mock-up, un volume iconico che nella sua dimensione rimanda ad una scala superiore nella realtà della Terra tanto quanto a quella più piccola di un gesto amplificato e gravante sui nostri individuali e quotidiani, quelli da cui dipendono molteplici possibilità per la storia di domani.
L’allestimento, con un disegno scandinavo essenziale e ricercato, è curato dallo studio MUSEEA di Sofia Hedman e Serge Martynov, duo multidisciplinare di arte e design che ha sede a Stoccolma e a Londra rivelando influenze d’un oltreoceano che la morfologia del pianeta trova a pochi passi su quelle terre legate dalla solidità dell’acqua. L’esperienza americana della coppia di autori si legge nell’impatto che il grande blocco instaura con lo spazio, un elemento dalla pelle esterna brillante dove sulle due superfici della facciata spaccata in due sono proiettate le immagini di ghiaccio in scioglimento. La narrazione inizia nel buio di una piccola stanza intitolata Under the North Star con i grafici dei cambiamenti climatici nel tempo, dove il visitatore è portato a stazionare sotto lampade dall’effetto di stelle cadenti e a prosegue in un’altra sui i temi dell’inquinamento, in cui sono vetrine con espressioniste scenografie di animali polari riprodotti e immersi in residui di plastica. Oltre ai livelli di scrittura pensati per arrivare a coinvolgere anche i più piccoli o i meno interessati ai contenuti più scientifici della mostra, sul filo drammaturgico, se ogni linea verticale partecipa naturalmente al racconto non è altrettanto vero per qualche virtuosismo di design che aggiunge qualcosa in direzione orizzontale un po’ gratuitamente. Nella terza tappa è scavato uno spazio curvilineo che si configura all’inizio di una sbozzatura scultorea con una sequenza di prismi a specchio rivolti con un angolo esternamente e su questi si amplifica il movimento di un cristallo su un faro in copertura con colori venanti glacialmente tutte le superfici facendole lastre di marmo che sembrano scricchiolare e sciogliersi inesorabilmente sotto i nostri piedi e intorno a noi: l’impatto è emotivamente coinvolgente che l’informazione sui pannelli è ulteriormente e cordialmente veicolata da un audio bilingue in cuffia.
Una tuta tecnica ruota in una teca di vetro presentando l’ultima innovazione del costume per le temperature più basse e da qui inizia una serie di teche sospese sopra le esposizioni: oggetti e modelli sono posti su volumi complementari che li comprendono in collocazioni slanciate in senso verticale.
Il costume termico fa da cerniera tra due momenti del percorso nel blocco e sposa il contesto del Nordiska Museet che, oltre all'artigianato, le tradizioni, il cibo, le abitazioni e i giocattoli, cura una collezione sull’abbigliamento comparendo tra i partner dell’associazione Europeana Fashion, con un archivio di capi di origini diverse ad illustrare la formazione di diverse identità nazionali.
Arrivando in fondo, la frattura centrale sulla copertura del grande mock-up si assottiglia mentre lo spazio interno si apre dopo una fila di piccoli pilastrini di filtro e supporto strutturale che ricuciono congiungendo le ultime due tappe e ritmando senza entusiasmare la risoluzione estetica.
Particolarissime imbarcazioni per l’attraversamento di un mare glaciale e antichi sci vengono bagnati da freddi toni luminosi che vertono dal verde al blu al viola, la luce incontra le facce di cristalli per rifrangersi in straordinari giochi intorno al potere di conservazione del ghiaccio e una commovente antica mappa tridimensionale, scavata in un piccolo pezzo di legno con la morfologia del territorio, trova traduzione nel suo corrispettivo tecnologico di geolocalizzazione posto accanto.
Uscendo dal blocco si entra in una dimensione più intima nella navata laterale e anche l’allestimento cambia radicalmente natura facendosi domestico senza alcuna continuità con la prima parte nel blocco, e quindi con tende sovrapposte e tessuti pastello drappeggiati che svelano e rivelano tradizioni di magia e condizioni di sopravvivenza, tra amuleti, perline e pelli di animali usate per ogni diversa parte di un costume che si fa vanto della vittoria in una lotta necessaria. Sinuose forme tubolari rivestite di paglia vogliono ancora riferirsi agli strumenti di climatizzazione tra ieri e oggi esagerando un po’ con una teatralità popolare fantastica, forse pensato proprio per aumentare l’aspetto più caldo del quotidiano ma, anche se non troppo invasivo, si fa notare come un intervento di puro e facile gioco, accompagnando gli schermi dei documentari sugli orizzonti delle risorse, i processi di caccia e allevamento del bestiame e sulla lavorazione del legno e delle pelli.
“Senza sapere troppo, o essere troppo precisi, scientifici su uccelli e alberi e fiori e movimenti dell’acqua, un certo margine di libertà e persino di vaghezza – forse di ignoranza, di crudeltà – aiuta il godimento di queste cose..” (Walt Whitman) e questo Artico tanto osservato, toccato e pensato in un modo e nell’altro è riuscito ad avvincere con un bel montaggio di atmosfere e confronti facendo arrivare i suoi motivi e convincendo tutti del suo cambiamento.
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